Per farvi un’idea di questo spettacolo immaginate per un attimo di non essere seduti tra le file di una platea a teatro, ma nello scompartimento di un treno. Un treno un po’ spericolato perché a guidarlo è un attore ma anche un regista: un tizio magrino, il profilo puntuto, Sergio Rubini. Già altre volte in passato, ma solo sul grande schermo, vi ha fatto racconti di treni, binari, piccole stazioni di posti sperduti.

Il capotreno ci dice che il motivo del viaggio a cui stiamo partecipando è il SUD ma nemmeno lui sa dove arriveremo, al Sud?, è probabile ma potrebbe anche andare diversamente.

La destinazione insomma è incerta.

E incerto è l’andamento del treno.

Fin da subito avrete la sensazione di aver percorso grandissimi tratti nell’arco di pochi minuti. Perché per esempio dalla lettura di un passo dei Persiani di Eschilo, incipit dello spettacolo, Rubini passerà al racconto di Matteo Salvatore un cantastorie vissuto nel buio periodo del dopoguerra che ha fatto della sua miseria da pane nero la forza della sua poetica. Eppure dentro questo Sud abbandonato e senza luce, fiorisce la grande letteratura che proprio a Napoli ha avuto il massimo dell’espressione nell’opera di Eduardo che ha fatto di personaggi schiacciati dal fatalismo e dalla rassegnazione, dei veri giganti, non certo capaci di modificare la propria condizione, ma dei ragionatori, con il coraggio di guardarsi dentro. E a proposito di piccoli “eroi” del Sud, Rubini passerà al racconto di un altro capostazione, suo padre che in un paesino agricolo del profondo Sud negli Anni Sessanta coltivava come altri suoi compaesani, la passione per il teatro, per la recitazione, per la poesia. Come i versi in vernacolo di Giacomo D’angelo che nel suo negozio di giocattoli scriveva poesie. Ad accompagnare le letture e intervallare i momenti dialogici a quelli recitati, le musiche originali eseguite dal vivo dal maestro Michele Fazio al piano, Marco Loddo al contrabbasso ed Emanuele Smimmo alla batteria, che renderanno vivo e attuale ogni verso.

Proseguendo la strada della riscoperta del passato, per gestire meglio il futuro, intrapresa con i precedenti lavori, con questo nuovo spettacolo Rubini va oltre il recital “La guerra dei cafoni”, prodotto nell’estate 2013 e ne ha realizzato uno più ricco, con poesie e racconti riguardanti il Mezzogiorno d’Italia.

“Noi siamo in un momento storico – ha spiegato Sergio Rubini – in cui bisogna tornare ad osservare gli anni ’70, quando ancora non avevamo incontrato i rovinosi anni ’80. Erano anni di passioni, erano anni in cui si dava molta importanza ai giovani e dalla gioventù che ci si aspettava i cambiamenti. Questi pensieri si sono guastati negli anni ‘80, facendo nascere le delusioni, nelle quali si radica la crisi che stiamo vivendo in questi giorni. Quindi ricominciamo dagli anni ’70 e questo spettacolo è una maniera per ricordarli”.

Suddiviso in tre parti, il recital racconta le vicende di Matteo, un ragazzo che oggi avrebbe l’età di un “nonno di tutti noi”, narra la storia di Eduardo, immerso in un Sud che riesce a tirarsi su e che anche sulla miseria riesce a costruire la propria dignità e cultura, che viene divulgata nel mondo e riprende, infine, stralci del libro di De Amicis.

“Troppo in fretta abbiamo dimenticato le nostre origini, quelle da cui veniamo. Però, secondo me, se non ci ricordiamo bene da dove veniamo, non sappiamo neanche dove dobbiamo andare”


 

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Link di presentazione artista:  Sergio Rubini

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